L’IMPORTANZA DI CELEBRARE

Ultimamente durante una sessione di coaching con una collega stavamo condividendo il nostro approccio ai progetti, il coinvolgimento iniziale del team, la co-creazione degli obiettivi personali e del progetto stesso, ed è emersa un’interessante conversazione che ha aperto, a sua volta, un numero indefinito di cassetti ed approfondimenti.
Uno degli aspetti che negli ultimi anni mi ha interessato sempre più, e quindi ho deciso di approfondire ed esplorare avidamente dal punto di vista delle neuroscienze, è proprio il tema di come attivare ed instaurare migliori relazioni, costruttive e durature, in team multifunzione. Un team che abbia le radici nella fiducia reciproca.
Come instaurare relazioni di fiducia in team
Parlando di progetti e di come ci si relazioni durante il percorso di realizzazione, ci siamo ricordate di come siamo spesso portatə “per natura” a dare per scontato ciò che ha funzionato: dalla comunicazione interpersonale, alla gestione delle relazioni esterne, la gestione delle emergenze o momenti di crisi, la gestione del budget e tutti i vari aspetti che contribuiscono alla realizzazione di un progetto, qualunque sia la tipologia.
Ci preoccupiamo di tutti i passaggi, di portare la nave in porto, ma a volte non ci fermiamo abbastanza a riflettere sul COME.
E quando dico “per natura” intendo che il nostro cervello, come avviene con il salvataggio automatico del pc che abbiamo imparato ad attivare “Just in case” (se appartieni come me alla generazione X, o anche ai Boomers, avrai sicuramente sperimentato la perdita di dati causata da un errore di sistema o da uno Shut down improvviso, magari dopo ore e ore di lavoro, ergo l’ossessione per il salvataggio frequente anche su hard disk esterni!), funziona più o meno allo stesso modo: tende a salvare in automatico tutte quelle esperienze negative, o vissute come tali dal punto di vista emotivo, per evitare che ci ricaschiamo, che si ripresentino e ci colgano impreparatə.
E così nel momento in cui ci troveremo di fronte ad una esperienza simile, ci verrà ri-proiettato quel film ed agiremo di conseguenza, spesso quindi a causa dei ricordi o delle generalizzazioni assimilate nel tempo.
Per natura tendiamo a ricordarci ciò che è “negativo”
Per natura, per difenderci, tendiamo a ricordarci ciò che è “negativo” e a trattenerlo nei cassetti della memoria e nel subconscio più di ciò che invece impatta positivamente sulle nostre vite.

È dunque necessario fare uno sforzo di consapevolezza, attivare delle strategie per salvare anche il positivo. Ne avevo parlato qui qualche tempo fa. https://www.cinziaxodo.com/2020/03/23/riscoprire-la-potenzialita-della-gratitudine/.
L’antidoto, infatti, è cambiare le proprie abitudini e coltivare la gratitudine, attraverso un diario o la Box of Happiness, prendere cioè nota di tutto ciò che avviene dentro e fuori di noi, dei momenti di connessione vera con gli altri, delle esperienze costruttive che quotidianamente ci si presentano alla porta, ma proprio come in Sliding Doors sta a noi scegliere se aprire oppure no la porta della cosapevolezza.
Fermarsi, guardarsi, riconoscere l’impegno di tutti ed ognuno, dirselo!
Restituirselo!
Che è esattamente l’opposto del giudicarsi o di cercare il pelo nell’uovo.
Ciò non implica buonismo o assenza di pragmatica, o addirittura lasciare che gli altri approfittino di te ed il tuo tempo o le competenze che hai maturato.
“Si va beh ma quante storie! In fin dei conti le persone vengono pagate per fare quello che gli viene chiesto di fare! “ ha provato a contestare qualcuno…seguendo il vecchio stile di leadership IO TI DICO QUELLO CHE DEVI FARE E TU FALLO! Punto e basta… tanto IO TI PAGO!
Come ho ricordato in un’intervista rilasciata per EIIS, oggi è stato dimostrato che la leadership vincente è la leadership gentile che parte da sé e dal proprio modo di agire per riconosce il ruolo di tutti ed ognuno perché accetta che siamo interconnessi. (Se ti interessa approfondire “Leaders eat last” scritto da Simon Sinek, un altro testo interessante).

“La leadership improntata alla gentilezza significa dare direzione, gestire le proprie emozioni e creare senso, elemento ancora più importante quando si ha a che fare con una squadra da remoto.
Come si può creare significato con gli ordini? Se le persone non interiorizzano la sfida, non la capiscono, se non si sentono partecipi, il team non funzionerà, indipendentemente dalla quantità di ordini dati.”
La leadership gentile sta diventando sempre più rilevante nel momento storico che stiamo vivendo, l’ era del lavoro ibrido, dove compresenza ed asincronia danzano quotidianamente. La leadership gentile può essere il collante che motiva la squadra e garantisce i risultati. Le persone possono così sentire di poter portare le loro passioni e la loro storia nell’ambito lavorativo.
Da manager abbiamo la responsabilità ed il privilegio di esserne consapevoli, altrimenti le persone che collaborano con noi si sentiranno trattate come semplici numeri su un grafico. La gentilezza ci consente di recuperare questo senso di identità e aiuta le persone a fiorire nel nuovo mondo del lavoro.”
Leadership gentile: Ubuntu
La leadership gentile riporta ad un concetto radicato nella cultura africana: Ubuntu, una filosofia che vede il senso profondo dell’essere umano solo attraverso l’umanità degli altri; se concluderemo qualcosa al mondo sarà grazie al lavoro e alla realizzazione di tutti.

Ubuntu è un’etica o un’ideologia dell’Africa sub-Sahariana che si focalizza sulla lealtà e sulle relazioni reciproche delle persone.
È un’espressione in lingua bantu che indica “benevolenza verso il prossimo”. È una regola di vita, basata sulla compassione, il rispetto dell’altro. Appellandosi all’ubuntu si è soliti dire
Umuntu ngumuntu ngabantu, “io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo”.
L’ubuntu esorta a sostenersi e aiutarsi reciprocamente, a prendere coscienza non solo dei propri diritti, ma anche dei propri doveri, poiché è una spinta ideale verso l’umanità intera, un desiderio di pace. (nello sport, ad esempio, è stato alla base del successo della squadra NBA dei Boston Celtic. Puoi anche ascoltare l’intervista a Doc Rivers nella serie Netflix “Parola di allenatore”).
Quindi per valorizzare il contributo di tutti, e di ognuno, è importante definire dei Pit stop, le cosiddette milestone di progetto, in cui ci si incontri virtualmente, ma ancora meglio di persona, non solo per verificare se ci sono problemi da risolvere, cambiamenti di programma, ma anche e soprattutto per riconoscere, riconoscersi vicendevolmente che cosa sta funzionando e dirselo apprezzando il lavoro di ognuno, non lasciare o relegare cioè solo alla fine il momento della celebrazione del successo del percorso e dell’iniziativa.
Come fare a darsi una “struttura” una cornice di riferimento per non cadere nel tranello iniziale ed in automatismi?
Bastano tre parole chiave:
- STOP che cosa non sta funzionando? Quali problemi ci sono stati? Quale atteggiamento non ci sta aiutando nella realizzazione del progetto o nel perseguimento degli obiettivi comuni?
- START di che cosa abbiamo bisogno adesso? Cosa o quale modalità è necessario attivare? Serve ingaggiare nuove figure? Servono ulteriori competenze? O ascolto attivo? Cosa è necessario cambiare?
- CONTINUE che cosa sta funzionando? Come? Perché?
Oppure:
LEARN EXERCISE
L: LIKE Che cosa ti è piaciuto della riunione/confronto/brainstorming di oggi?
E: EXCITED Che cosa non vedi l’ora di mettere in pratica di ciò che è stato definito insieme?
A: ASK C’è qualcosa che desideri ancora domandare-aggiungere?
R: RETAIN Che cosa vuoi assolutamente ricordare e trattenere di questa esperienza (processo/risultato)?
N: NEXT Qual è il prossimo passo, azione che compirai adesso?
Se vuoi approfondire quali sono le basi di partenza per costruire un team basato sulla fiducia reciproca o per iniziare un percorso per una migliore collaborazione sarò felice di aiutarti!